“Fatevi prossimi, con lo stile proprio del Vangelo, nell’incontro e nell’accoglienza di quei giovani che preferiscono convivere senza sposarsi”. Lo ha chiesto Papa Francesco ai parroci che hanno partecipato al corso di formazione sul nuovo processo matrimoniale, promosso dal Tribunale della Rota Romana. Una nuova apertura, che il Papa ha lanciato proprio lì dove si discute della sacralità del matrimonio e dei rari casi in cui è ammesso derogare a quel vincolo.
Nel suo intervento, papa Francesco ha richiamato l’attenzione dei sacerdoti anche su come aiutare quanti sentano che la loro unione abbia conservato ben poco di sacro. Ma intanto è destinata a far discutere la motivazione addotta da Bergoglio per invitare i parroci ad accogliere i giovani che hanno scelto di convivere. Per il Pontefice, “quei giovani, sul piano spirituale e morale sono tra i poveri e i piccoli”. E verso i poveri e i piccoli la Chiesa, “sulle orme del suo Maestro e Signore, vuole essere madre che non abbandona, ma che si avvicina e si prende cura. Anche queste persone sono amate dal cuore di Cristo. Abbiate verso di loro uno sguardo di tenerezza e di compassione”.
In realtà, il Papa ha invitato i sacerdoti ad abbracciare ogni genere di unione. “Unioni celebrate in Cristo, unioni di fatto, unioni civili, unioni fallite, famiglie e giovani felici e infelici. Di ogni persona e di ogni situazione voi siete chiamati a essere compagni di viaggio per testimoniare e sostenere”. Ai parroci Papa Francesco ha ricordato come essi siano i “primi interlocutori” sia dei giovani che desiderano formare una nuova famiglia, che dei coniugi “in crisi, con seri problemi di relazione”. La loro prima “premura”, è “testimoniare la grazia del sacramento del matrimonio e il bene primordiale della famiglia”, aiutando le coppie “a vivere nelle luci e nelle ombre”. Ma sono anche chiamati a “sostenere quanti si sono resi conto del fatto che la loro unione non è un vero matrimonio sacramentale e vogliono uscire da questa situazione”. I parroci, è l’esortazione del Papa, siano visti da chi vuole uscire dal matrimonio non come “esperti di atti burocratici”, ma come “fratelli” “in ascolto e comprensione”.
Se Bergoglio vuole una Chiesa capace di aprire non solo le braccia ma anche gli occhi sulla realtà, un ulteriore importante sprone gli è giunto da don Vinicio Albanesi sul diaconato delle donne, al quale il Papa aprì lo scorso maggio, istituendo poi in agosto, di ritorno dalla Polonia, un’apposita commissione di studio.
Il sacerdote, presidente della Comunità di Capodarco in prima linea nell’aiuto ai poveri e a quanti vivono nel disagio sociale, ha recapitato di persona al Pontefice l’appello ad andare avanti. Senza curarsi “di quanti cincischiano con i dubia (riferimento ai quattro cardinali emeriti che hanno scritto al Papa sollevando dubbi sull’esortazione post sinodale Amoris Laetitia, ndr). Sono un po’ farisei e nemmeno scribi, perché non capiscono la misericordia con cui lei suggerisce le cose. Lei abbia pazienza. E’ una fatica, ma noi siamo con lei e la sosterremo sempre”.
Ricevuto in udienza nell’Aula Paolo VI, Don Albanesi ha donato a papa Francesco un libro dedicato al diaconato femminile. “Chi vive nelle periferie – ha osservato don Vinicio Albanesi -, sa che ci sono tante suore, ma anche laiche, persone che si dedicano alla carità che possono ricevere il diaconato, che non è sacerdozio ma un ministero. Per me è possibile”.
Alla Comunità di Capodarco papa Francesco ha riconosciuto il contributo reso “a una società migliore” schierandosi “dalla parte delle persone meno tutelate”. Ma al discorso sugli ultimi Bergoglio ha legato il richiamo su un preciso pericolo: il razzismo nei riguardi dei disabili. “Soltanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli, una società può dire di essere fondata sul diritto e sulla giustizia. Una società che desse spazio solo alle persone pienamente funzionali, del tutto autonome e indipendenti non sarebbe una società degna dell’uomo. La discriminazione in base all’efficienza non è meno deplorevole di quella compiuta in base alla razza o al censo o alla religione”.
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