Memorie del 25 aprile di ieri e pensieri sull’oggi. La liberazione è un proposito

Nell’Italia dell’Adige e del Po la Liberazione fu qualcosa d’imprevisto e di gigantesco: io, piccolo di nove anni, dal cortile della casa di campagna di mio padre ho visto per giorni e giorni sfilare l’Armata tedesca in ritirata. Immensa. Non finiva mai. Veniva da domandarsi come mai un’Armata così poderosa fosse sconfitta. Si ritirava per strade secondarie, sepolte sotto gli alberi, per sfuggire alla ricognizione aerea. Carretti, carri armati, cannoni, cavalli, camion, soldati. Qualche giorno prima i partigiani avevano fatto saltare i ponti sugli affluenti dell’Adige e del Po, quindi anche il ponte del mio paese, tra le province di Padova e Verona. Il ponte è vicino alla chiesa, piccola, bellissima e antica, anteriore a Dante. La chiesa aveva (ha tuttora) delle bellissime vetrate, colorate, ampie e fragili: i raggi del sole, entrando, formano un arcobaleno. Il parroco era orgoglioso di tanta bellezza.

Venuto a sapere che i partigiani avrebbero fatto saltare il ponte, aveva paura che l’esplosione mandasse in frantumi le sue vetrate, perciò venne da mia madre, che aveva un parente partigiano, a pregarla di avvertirlo la notte in cui i partigiani avrebbero fatto brillare le mine. Il parente partigiano informò mia madre, mia madre mandò me ad avvertire il parroco, il parroco mi ringraziò e fece levare e portar via le vetrate. Domanda: per aver compiuto questa missione all’età di 9 anni, ho diritto di essere considerato una staffetta partigiana? Nella notte i ponti sugli affluenti dell’Adige e del Po crollarono con esplosioni spaventose. I tedeschi fecero rappresaglie a caso, feroci e inutili. Ma le facevano da un paio d’anni. L’imperdonabile colpa di noi italiani del Nordest fu di non tener conto di queste stragi. Di ignorarle, come cose non importanti.

Una dozzina di anni fa sono andato a trovare uno storico locale, Francesco Selmin, pregandolo di fare una ricerca e un opuscolo, che con l’aiuto dei sindaci avremmo regalato ai maturandi. Venne fuori così che le vittime erano 150. Dunque, ogni settimana aveva avuto la sua strage. La Liberazione fu la liberazione da questo dominio feroce. Ho raccontato quelle rappresaglie in due libri, ‘Il quinto stato’ e ‘La vita eterna’, che furon tradotti anche in Germania, anzi nelle Germanie, perché allora erano due, e adottati in qualche università. Gli studenti volevano approfondire la conoscenza di quelle vicende epiche e tragiche, e cosa trovavano? Nulla. Perché una legge tedesca stabilisce che, se un cittadino è sospettato di aver fatto cose che possono infangare la sua memoria, ma muore senza essere stato condannato, ha diritto che i documenti a carico vengano distrutti. Così si crea una ‘innocenza generale artificiale’.

L’Europa Unita, nella quale tanto orgogliosamente viviamo, non è nata sull’ammissione e l’espiazione delle colpe, ma sulla cancellazione. Non è una vera Liberazione. Liberazione sarebbe se i figli sapessero e i padri scontassero. La Liberazione non è un luogo raggiunto, ma un luogo verso il quale tendiamo. Il 27 gennaio ci fu la Liberazione dei Lager, e «quel giorno – racconta Primo Levi –, nel veder fuggire le guardie naziste ed entrare i soldati dell’Armata Rossa, tutti abbiamo sentito sulla nuca il vento delle grandi liberazioni bibliche». Ma neanche quella fu una vera Liberazione. Per decenni l’Unione Sovietica proibì la traduzione delle opere in cui Levi raccontava la sua prigionia. Che senso ha dirgli: ‘Va’, sei libero, ma se vorrai dire di essere stato imprigionato nei Lager noi te lo impediremo’?

L’Unione Sovietica aveva paura che i suoi lettori nei Lager vedessero i Gulag. Ergo, accolse le testimonianze sui Lager quando era già liberata dai Gulag. La Liberazione o è completa o non è. E la Liberazione completa è sempre un’aspirazione. L’importante è tendere verso, lavorare per, preparare la liberazione dei non-liberi, di cui il mondo è sempre pieno. Non solo il mondo dove vivono gli altri, ma anche il nostro mondo, dove viviamo noi. Festeggiando la Liberazione, non festeggiamo un evento, ma un proposito.

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-liberazione-un-proposito

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