Si è spento a 83 anni, dopo una lunga malattia, l’arcivescovo emerito di Milano e Genova. Teologo moralista, collaboratore di Wojtyla, aperto e cordiale, sempre attento ai temi sociali e all’abbraccio fraterno tra i popoli e le religioni. Nel 2008 chiese scusa ai divorziati risposati e istituì il Fondo “Famiglia – lavoro” per le vittime della crisi
A Milano entrò quasi in punta di piedi. Era il 2002. Il cardinale Dionigi Tettamanzi, che si è spento a 83 anni dopo una lunga malattia vissuta tra le mura di Villa Sacro Cuore a Triuggio, la Casa di spiritualità della Diocesi dove si era ritirato dopo la fine del mandato di arcivescovo, raccoglieva l’eredità del cardinale Carlo Maria Martini che aveva guidato la città per più di vent’anni. «È meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo», spiegava. Milano capì. E si mise al passo senza fare tante storie.
Tettamanzi era nato il 14 marzo 1934 a Renate, in Brianza, terra segnata da un senso del dovere rigoroso e quasi assoluto. Aveva undici anni quando entrò nel seminario di Seveso San Pietro. Il senso della famiglia, la fede della madre, il padre operaio, un fratello falegname, l’appartenenza a un luogo che si ritrova nella domenica a messa e nei fioretti di maggio, nel catechismo e nell’oratorio, non si perdono negli anni di studio che portano il futuro cardinale a laurearsi in Teologia, a insegnare per anni fino a diventare rettore del Pontificio seminario lombardo e una delle voci più ascoltate dei cattolici sui temi della bioetica.
Arcivescovo di Ancona dal 1989 al 1991, segretario della Cei, la Conferenza episcopale italiana guidata dal cardinale Camillo Ruini, poi la nomina ad arcivescovo di Genova, città difficile, in crisi con il suo passato, lacerata dalla battaglia con i camalli del vecchio porto, con le industrie in crisi e una questione sociale sempre sul punto di esplodere.
L’ultimo scorcio di Tettamanzi nel capoluogo ligure fu un altro tornante durissimo: il G8 del luglio 2001 con i massacri e le polemiche che ne seguirono. Furono giorni neri per la città. Lui guardava con simpatia le contestazioni giovanili ai totem del capitalismo e alla vigilia del summit scrisse su Avvenire: «Assistiamo a una contrapposizione netta fra capitale e lavoro. Nel bazar del villaggio globale a farne le spese sono non gli imprenditori ma le donne e gli uomini che lavorano». E aggiunse: «Il profitto non è il valore assoluto dell’uomo».
È stato teologo morale di rango, estensore di molti documenti vaticani, collaboratore di Papa Wojtyla, che nel 1998 gli diede la porpora, in encicliche come l’Evangelium vitae e la Veritatis splendor. Ma anche un pastore aperto, umile, cordiale, sorridente, capace di entrare nel cuore della gente e di predicare il Vangelo anche con la semplicità dei gesti: «A me per primo capita di dimenticare un discorso, ma non una stretta di mano», spiegò una volta. «Mi ricorda Papa Giovanni per la sua bontà e la grande forza trascinatrice», disse Carlo Edoardo Valli, presidente degli industriali brianzoli.
I media già lo inquadrano tra i papabili quando dopo Genova, nel 2002, arriva a Milano, la diocesi più grande d’Europa, crocevia di popoli e culture, città complessa e frenetica dove il mestiere di vivere rischia di travolgere anche la fede. L’immigrazione è tema quotidiano. Lui, dalla cattedra di Sant’Ambrogio, predica l’accoglienza e l’integrazione, allunga lo sguardo sul tessuto della città ed è severo verso chi vorrebbe lacerarlo alimentando polemiche artificiose come certa stampa che lo bolla come “comunista” e lo accusa di flirtare con gli islamici e di fare l’imam.
Invita i milanesi a vivere di più il Duomo. S’interessa agli operai dell’Alfa colpiti dalla crisi, richiama (l’ex) capitale morale d’Italia a rimboccarsi le maniche e fare di più per i poveri e gli emarginati. Lo fa sempre con il suo stile, schietto e sincero sia quando bacchetta i politici («La gente ha bisogno di testimonianze fatte di onestà, schiettezza e pulizia morale. La classe politica non è sempre all’altezza»), sia quando richiama i suoi preti («Andate nelle case degli islamici»).
Non vuol sentire parlare di scontro di civiltà ma ribalta la prospettiva: «A partire dalle nuove generazioni», spiega, «cristiani e musulmani che vivono nello stesso territorio devono sperimentare possibilità di incontro e dialogo». Nel 2008, con Letizia Moratti sindaco, esprime tutto lo sdegno della Chiesa ambrosiana per lo sgombero dei rom dall’area dismessa di via Bovisasca: «Si è scesi sotto il rispetto dei diritti umani. La maggioranza degli immigrati lavora nell’edilizia e in società nella Fiera. Che ne sarebbe dell’imprenditoria milanese senza la manovalanza a bassissimo costo dei romeni?». Nel 2011 non piace al governatore leghista Maroni il suo appello per costruire una moschea a Milano.
Il cardinale Tettamanzi è sempre sfuggito alle etichette che con una certa disinvoltura gli venivano appiccicate, di volta in volta, da destra e da sinistra. Nel gennaio 2008 scrisse una lettera ai separati, divorziati, risposati che cominciava con una richiesta di perdono: «Se avete trovato uomini o donne della comunità cristiana che vi hanno in qualche modo ferito», se da loro avete sentito «giudizi senza misericordia», o «condanne senza appello», ebbene «desidero dirvi il mio dispiacere». E aggiunse, con lucido realismo: «Anche la Chiesa sa che in certi casi non solo è lecito ma può essere addirittura inevitabile prendere la decisione di una separazione: per difendere la dignità delle persone, per evitare traumi più profondi, per custodire la grandezza del matrimonio, che non può trasformarsi in un’insostenibile trafila di reciproche asprezze».
La notte di Natale dello stesso anno annuncia, in Duomo, la costituzione del “Fondo Famiglia – lavoro” per offrire un aiuto concreto alle prime vittime della crisi economica che stavano perdendo il lavoro: «Come avvio di questo fondo, attingendo dall’otto per mille destinato per opere di carità, dalle offerte pervenute in questi giorni “per la carità dell’Arcivescovo”, da scelte di sobrietà della diocesi e mie personali metto a disposizione la cifra iniziale di un milione di euro». Il suo successore, il cardinale Angelo Scola, definì il Fondo «un’idea geniale». Ben presto, lo copiarono anche le altre diocesi d’Italia.
«Io dico», confidò in un’intervista al Corriere della Sera del 2009, «che c’è una speranza Milano che può contagiare il Paese intero. Incontro la speranza visitando le parrocchie, seguendo il lavoro pastorale dei miei preti, delle associazioni, del volontariato. Ma questa speranza perché non ha visibilità? Perché non fa notizia? Perché anche i media non si assumono la responsabilità di far circolare la speranza? Servono occhi di speranza per riconoscere quanto c’è di positivo e anche per suscitarlo». Interrogativi nei quali sembrano riassumersi tutto l’impegno pastorale, la passione e la fede del Cardinale.
http://www.famigliacristiana.it/articolo/e-morto-il-cardinale-tettamanzi-il-pastore-semplice-sempre-in-prima-linea.aspx
Caro Don Luca
ho letto con grande interesse l’articolo riguardante la vita del Cardinale Dionigi Tettamanzi una vera testimonianza per la comunità intera. Pregherò per lui che Dio lo accolga facendole varcare non la porta del Duomo di Milano ma la porta del Paradiso!
Questa frase mi ha toccato profondamente ed è vera :È meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo»
Caro Don Luca
ho letto con grande interesse l’articolo riguardante la vita del Cardinale Dionigi Tettamanzi una vera testimonianza per la comunità intera. Pregherò per lui che Dio lo accolga facendole varcare non la porta del Duomo di Milano ma la porta del Paradiso!
Questa frase mi ha toccato profondamente ed è vera :” E’ meglio essere cristiani senza dirlo che proclamarlo senza esserlo”